Vivo accanto alla chiesa.
Odio la chiesa perché la mattina sento le campane nella testa. Me le sento come cactus infilati nelle orecchie in mezzo ai sogni; apro gli occhi svogliata. Mia sorella è sempre già in piedi quando alla fine riesco ad alzarmi. Mi mette la tazza di latte caldo sul tavolo e mi ricorda che sono in ritardo. Sbuffo. Sono sempre in ritardo.
Mia madre invece non si sveglia mai, la vedo solo a pranzo e la sera quando si mette davanti alla televisione.
Scappo a scuola, faccio tutta la strada di corsa, arrivo in classe con il fiatone ma prima dell’inizio delle lezioni. Sorrido soddisfatta: uno per me, zero per la campanella. Scarico lo zaino accanto ad Adele, la mia compagna di banco.
Prima ora: matematica. Voglio morire.
Mentre apro svogliatamente la cartella e metto i quaderni sul tavolo Adele continua a sorridere come se avesse un segreto che non vuole rivelare. La professoressa comincia a parlare e lei ancora non mi ha detto niente. Le do una gomitata cercando di farmi raccontare, ma lei niente, continua a sorridere. Solo dopo parecchie gomitate e qualche calcio sottobanco si decide ad aprire la cartella e farmi vedere che cosa ha comprato venendo a scuola:
ha due scatolette di tinta per capelli, una rosa e una blu.
Adele probabilmente è pazza. Ma lei mi guarda seriamente negli occhi e mi dice che è convintissima e che si tingerà i capelli anche senza di me, ma mi chiede se può venire a farlo a casa mia.

Perché a casa mia?
Perché tua madre non c’è mai e tua sorella lavora fino a sera.

Scrollo le spalle, è vero. Il pomeriggio praticamente sono sempre sola: mia mamma dietro la porta della camera non esce mai. Però non capisco perché vuole tingersi i capelli: lei è bionda ed è bella, non ha senso. Penso che magari durante la mattinata cambierà idea, invece finita la scuola mi cammina vicino con un sorriso gigante:

Guardati intorno, non vedi quanto è grigia questa città? Grigie le strade, le case, la scuola… io non ce la faccio più, mi sento il grigio che mi preme sul petto.

Ci penso un po’, in effetti guardandosi intorno gli unici colori che resistono sono quelli dei cartelloni pubblicitari:
anche mia madre è grigia, le dico piano.

E lei sorride: allora: iniziamo la rivoluzione!

 

Mentre guardo l’acqua che scorre nel lavandino e diventa blu mi batte forte il cuore, ma Adele mi stringe la mano e mi passa un po’ la paura. Quando ci guardiamo allo specchio sembriamo altre due persone: due amiche che vivono in qualche altra città sicuramente più avventurosa della nostra.

E quando mia sorella mi vedrà? E quando ti vedranno i tuoi genitori?

Lei fa spallucce, evidentemente a quella parte del piano non ha pensato. Poi si alza di scatto e mi trascina in camera: non abbiamo ancora finito!

Vuole che ci travestiamo, che appallottoliamo i jeans, le felpe, le magliette scure e cerchiamo vestiti diversi, di quelli che non abbiamo mai il coraggio di metterci. Io ci penso su, cerco nel mio armadio e poi in quello di mia sorella. Trovo poco e niente ma non mi arrendo. Adele mi guarda mentre tira fuori dei trucchi che si è comprata apposta per l’occasione. Ridiamo come delle sceme. So esattamente dove trovare i vestiti, anche se ho un po’ paura: nell’armadio di mia madre. Quando eravamo più piccole e lei ancora non si era chiusa in camera, mia madre era la donna più bella del quartiere, usciva di casa con mantelle e foulard coloratissimi e tutti la guardavano. Poi è successo quello che è successo e lei non si è più ripresa, all’inizio continuava ancora ad uscire di camera per giocare con me che ero piccola, poi, quando mia sorella è diventata abbastanza grande per occuparsi di tutto ha smesso anche quello.

Apro piano la sua porta, scricchiola, mia madre è stesa sul letto. Sembra che dorma, faccio qualche passo dentro. Quando apro l’armadio, sento la sua voce dietro di me:

Che fai?

Mi spavento, di solito non entro in camera sua. Le dico piano che vorrei prendere in prestito dei vestiti, ho paura che mi sgridi o che si metta a piangere, ho paura persino che si riaddormenti, invece mi sussurra:
sarai bellissima.

Prendo tutto e lo porto di là. Io e Ade iniziamo a tuffarci in mezzo a stoffe colorate, gonne lunghissime, paillettes… iniziamo a vestirci con cura e poi, prese dall’entusiasmo, ci proviamo tutto. Mettiamo due sciarpe insieme, una gonna corta sopra la gonna lunga, ci trucchiamo gli occhi con matite coloratissime. Alla fine, siamo brillanti. Io ho i capelli blu e lei rosa, entrambe abbiamo vestiti gialli, arancione, verde elettrico.
Siamo splendide.
Lei mi prende per mano, mi guarda con gli occhi sgranati, pieni di meraviglia:

siamo incredibili, bucheremo il cielo di questa città con la nostra bellezza.

Quando apriamo la porta ci batte fortissimo il cuore, sento un’ombra che spunta alle nostre spalle: è mia madre. Non dice niente, non sembra nemmeno troppo meravigliata, non ci dice che siamo bellissime però ci porge due orecchini grossi che scendono lunghi e splendenti. Ne metto uno io e uno Adele che sussurra: questi ci porteranno fortuna, vedrai e scendiamo le scale.

Per strada ci guardano tutti, anche perché ridiamo e cantiamo fortissimo. Siamo contente, qualcuno canta a mezza voce le nostre canzoni, altri borbottano quando passiamo. Ma non ci interessa. Arriviamo fino a scuola e balliamo sotto il portone, faccio un video col telefonino mentre scuotiamo i nostri nuovi capelli, i nostri nuovi orecchini, i nostri nuovi vestiti.
Quando andiamo verso casa abbiamo il fiatone di gioia. Adele prima di salutarci mi guarda un po’ impaurita: domani tornerà tutto come prima?

Io sorrido: no, abbiamo sempre i capelli rosa e blu, non ricordi?

E ridiamo ancora mentre ognuna torna a casa sulla propria strada.
E la  casa, e la chiesa, e la scuola, e mia sorella che mi sgriderà per il disordine e i capelli, e mia madre chiusa in camera… mi sembra tutto più sopportabile, mi sento una sorta di piccolo super eroe con i capelli blu.

Il supereroe più bello che si sia mai visto.